Storia

Paola Ferrazzi – Istituto di Apicoltura Torino

L’istituto di Apicoltura di Torino attraverso la biografia di alcuni protagonisti: Paola Ferrazzi

a cura di Paolo Faccioli, gennaio 2008

Al microscopio e in mezzo ai campi
“Prima di laurearmi, ho cominciato a guardarmi intorno per vedere cosa potevo fare nel mio futuro e ho saputo da un compagno di Università che il Professor Vidano aveva fondato un nuovo Istituto di Apicoltura. Mi sono recata da lui e gli ho spiegato la mia attività universitaria. Avevo fatto una tesi di microscopia elettronica e quindi la cosa mi interessava.

Lui ha detto di cominciare a frequentare un poco l’Istituto e sentire le sue lezioni. Io ho cominciato a seguire con molto interesse i corsi che lui faceva agli apicoltori, le manifestazioni che organizzava, e mi sono appassionata. E quindi, anche in previsione di un futuro sbocco nell’Istituto, ho fatto una sottotesi che riguardava i feromoni negli insetti. Mi sono laureata nel 1971 e ho cominciato subito dopo la laurea a frequentare l’Istituto. La prima borsa di studio è partita nel gennaio 72, quindi sono il ricercatore più vecchio, non come età, ma come presenza, dell’Istituto; tranne il professor Marletto che aveva già iniziato l’attività un anno prima di me. Si trattava di iniziare le ricerche in apicoltura, un settore del tutto nuovo. L’Istituto allora era di Apicoltura e Bachicoltura, e ho cominciato a interessarmi dell’analisi dei mieli, un settore che, per quanto riguarda l’Italia, stava iniziando in quel periodo. E sono partita proprio dal “campo”, dall’attività dell’ape, osservando cosa faceva l’ape sulle fioriture in diverse tipologie di ambienti. Ho cominciato a raccogliere le piante visitate dall’ape, a determinarle e a fare preparati di polline per cominciare l’analisi melissopalinologica. 

Paola Ferrazzi

Paola Ferrazzi (seconda da sinistra) al Corso di perfezionamento per Assistenti Tecnici con specializzazione in apicoltura, Torino, primavera 1974

Al tempo stesso ho cominciato a occuparmi delle analisi fisico-chimiche, che sono un complemento importante, e quindi ho portato avanti le analisi melissopalinologiche, tanto che sono tra i membri costituenti del comitato di gestione degli esperti in analisi melissopalinologica, che abbiamo creato con la Prof.ssa Sabatini, la Prof.ssa Persano-Oddo e il Professor Ricciarelli D’Albore. Abbiamo avuto un avvio parallelo nello studio dei mieli, in particolare nell’analisi melissopalinologica. In contemporanea all’osservazione sul campo, ho iniziato l’attività di laboratorio. Naturalmente non mi sono fermata a queste attività, altre attività importanti riguardavano la patologia apistica, c’erano delle tesi che venivano fatte su insetti dannosi all’ape o commensali tipo la braula coeca, c’erano delle tesi sul nosema. Io lavoravo sul settore della patologia e, a tutto campo, su tutto ciò che era più importante fare nel settore apistico”.

Vidano

“Il Professor Vidano mi si è mostrato subito nelle sue caratteristiche più salienti, una persona molto preparata e anche molto entusiasta delle cose che faceva. Infatti, sia con me, ma anche con gli studenti, con tante altre persone, era capace di gettare il germe dell’apicoltura e di entusiasmare. Aveva anche fatto delle cose interessanti, per esempio in quel periodo era stato fatto, nella facoltà di Agraria, un corso per tecnici apistici. Io e altri avevamo partecipato e sentito diverse lezioni, oltre a quelle che faceva lui personalmente, lezioni molto valide, molto interessanti. Aveva poi organizzato un viaggio in Francia per vedere aziende di apicoltura francesi, una ditta che era una casa editrice, la Gazette Apicole che era una rivista francese con i suoi titolari. E’ stato un giro interessante. Quindi la sua attività era molto impegnata. Lui era molto preciso, pignolo, la sua è stata veramente anche una scuola di addestramento alla scrittura, al prepararsi, al fare le cose, perché ha dato un metodo. Al tempo stesso dava molta fiducia, a parte che forse sapeva a chi poterla dare. Infatti io ho fatto questo lavoro da sola, non sono andata da nessuno a imparare, però nonostante ciò sono arrivata ad essere in breve tempo citata nelle metodiche internazionali sulle analisi melissopalinologiche dei mieli. Di lui posso avere un bel ricordo e un apprezzamento nella conduzione che faceva del settore. E infatti c’erano moltissimi studenti che seguivano Apicoltura, pur essendo una materia di solito complementare nel corso di laurea. E ha saputo richiamare varie persone entusiaste di questa materia grazie proprio alla sua vitalità, alla sua capacità di comunicare. Grazie alla sua origine di campagna, evidentemente aveva lavorato lui stesso su questi argomenti e non aveva solo una preparazione teorica, ma, ciò che è molto importante, anche pratica”.

Con le api e con gli apicoltori
“Io sono cittadina; pur essendo cittadina mi è sempre piaciuta molto la natura, e quindi ho preferito questo lavoro ad altri che pure ho assaggiato, perchè mi dava la possibilità di stare a contatto con la natura e di fare la ricerca in un lavoro sempre stimolante, sempre nuovo, nonostante tutte le difficoltà, perchè sono stata dieci anni precaria. Ho fatto questa scelta proprio perché mi appassionava molto il lavoro.
Ho sempre cercato il contatto con gli apicoltori, lo ritengo molto importante, sicuramente io sento di poter dare delle cose a loro, ma anche loro ne possono offrire molte a me: è una collaborazione e un supporto reciproco di esperienze. Ho tenuto io stessa le api per un certo periodo, poi ho smesso perché non avevo un posto mio. Le ho tenute a livello personale, a Druento, però era un orto non mio, non chiuso, me le hanno rubate e quindi poi ho lasciato perdere. Però è una cosa che mi ha sempre appassionato e continua ad appassionarmi, sia l’apicoltura sia qualunque cosa ad essa è connesso.
Anche le indagini che ho fatto sul miele di una determinata zona servono innanzitutto a venire a contatto con singoli apicoltori, a visitare l’azienda, l’apiario, la zona in cui opera, e quindi a ricavare ciò che io rilevo nei mieli, ma sentendo anche la loro opinione. Magari l’apicoltore mi dice: “Questo è un miele di castagno”: io vedo com’è realmente, però in una correlazione con loro, in modo da avere idea di ciò che vede l’apicoltore, che non avrà una visione così completa come posso averla io con la mia esperienza, però può dare dei suggerimenti utili. Quindi posso fare qualcosa proprio per gli apicoltori, per aiutarli nella loro attività. Da quando faccio anche i corsi di analisi sensoriale dei mieli mi accorgo di chiarire molti dubbi e di dare indicazioni tecnologiche che spesso non vengono date. In effetti, se ci pensiamo, la tecnologia in apicoltura è un discorso non molto affrontato. Uno sente dire qualcosa dall’altro, va a una mostra, vede questo, vede quello, però mancano certi concetti di base. Come conservare il miele, come estrarlo, “lavorarlo”, su questi aspetti vedo che ci sono ancora idee un po’distorte. La questione dei maturatori, per esempio, è sempre un concetto che va chiarito.
Nel corso delle attività o delle ricerche che ho fatto ci sono stati diversi apicoltori con cui sono stata particolarmente in contatto, poi ci sono gli apicoltori della Consociazione Apicoltori Piemontesi con cui c’è un rapporto da sempre; in particolare con quelli che sono stati presidenti, con cui ci sono state delle collaborazioni più accentuate”.

Lavori in corso

“Ho incrementato alcuni filoni di ricerca anche perché il mio istituto era di Bachicoltura e Apicoltura; pur non abbandonando l’apicoltura, con l’analisi dei mieli, la patologia apistica, gli aspetti tecnologici, ho arricchito la mia attività con materie entomologiche e zoologiche, anche in correlazione con i corsi di laurea che faccio qui in facoltà.
Ho cercato anche di dare orientamenti legati alla qualità, come orientamenti ambientali, per esempio, collegati all’apicoltura e all’apidologia in generale. Utilizzando mezzi nuovi tipo microcosmo per realizzare prove di ecotossicologia su vari tipi di organismi animali e alberi, per vedere gli effetti di sostanze tossiche e anche di insetticidi indicati come non nocivi alle api e agli apoidei adulti, che invece si sono rivelati veramente pericolosi. Ho continuato a seguire il settore di patologia, a parte le diagnosi che faccio agli apicoltori che vengono qui, i consigli che dò, ho lavorato provando il dispositivo varrox su cui ho fatto degli articoli con i miei collaboratori e continuo queste ricerche per trovare delle alternative ai mezzi attuali di lotta alla varroa o altri organismi dannosi all’ape. La dottoressa Ferrero, che ha partecipato a questa ricerca, lavora con me e ha fatto la tesi con me cambiando da un altro tipo di tesi: ha sentito una conferenza sull’apicoltura e sui mieli, si è appassionata in particolare a questo settore, poi ha fatto un dottorato di ricerca e ha avuto delle borse post-dottorato. E’ sempre più specializzata nel settore dell’apicoltura e in particolare segue l’analisi dei mieli, è bravissima nell’analisi melissopalinologica e sensoriale, per cui, da quando lei ha completato i corsi di analisi sensoriale ed è membro dell’ Albo degli esperti in analisi sensoriale, avendo questo suo aiuto, questa fondamentale collaborazione, ci siamo messe a fare corsi di analisi sensoriale proprio nella sede di Reaglie, che ho visto che è stata indicata come obsoleta, poco frequentata, mentre invece è una sede vitale. Nonostante le problematiche legate a un’ambiente un po’vecchio, è molto apprezzata proprio per ciò che vi facciamo. Vi teniamo degli alveari su cui facciamo sperimentazioni come quella del varrox.

La Professoressa Paola Ferrazzi con le sue attuali collaboratrici, da sinistra: dott.ssa Amina Chakir, dottoranda di ricerca con una tesi di dottorato in cotutela con l’Università di Marrakech, dott.ssa Roberta Ferrero, dottore di ricerca in Scienze Agrarie, Forestali e Agroalimentari, attualmente assegnista di ricerca, dott.ssa Federica Berger, dottoranda di ricerca.

E’ una sede vecchia ed erano stati fatti pochi lavori di manutenzione, adesso sono stati fatti dei lavori, non hanno proprio messo tutto come avrebbe dovuto essere…da sempre però ha funzionato un laboratorio di smielatura fatto secondo tutte le regole. Siamo stati i primi, anche per dare l’esempio. Infatti è anche aperto agli apicoltori , che possono osservare, un po’ come modello. Sono cinque anni che facciamo questi corsi di analisi sensoriale, ma già da prima facevamo in questa sede corsi per gli apicoltori, e poi in questa sede ci vanno gli apicoltori della provincia di Torino per le loro riunioni, due volte al mese, perché c’è anche una convenzione che abbiamo fatto per regolamentare ufficialmente questi aspetti, e anche perché don Angeleri e la sorella, che erano stati dei precursori, (lui era un sacerdote-imprenditore che aveva lavorato moltissimo nel campo dell’apicoltura ed era stato anche molto bravo come divulgatore, come istruttore nei confronti degli apicoltori), avevano lasciato queste loro sedi di Reaglie e di Pragelato all’Università, in modo che continuasse l’attività apistica, l’attività di aiuto e di consulenza nei confronti degli apicoltori, cosa che continuiamo a fare anche facendo analisi gratuite, per quanto è possibile. E quindi è un contatto continuo con gli apicoltori che trovo molto utile e importante.
E’ la continuazione di ciò che c’era già con Don Angeleri e la sorella, che è morta più tardi rispetto a lui. Avevano fondato la rivista che noi abbiamo portato avanti. Ciò non toglie che siamo in contatto con le altre associazioni apistiche: trovo che la gestione dell’apicoltura, che è un settore che richiede molta attenzione e molto impegno, debba essere un discorso globale e non settoriale e che tutti dovrebbero collaborare sotto tutti gli aspetti, anche economicamente, perché tutti gli apicoltori, siano essi amatoriali o a livello industriale, possano avere la dignità che si meritano”.

L’Albo per esperti in analisi sensoriale dei mieli
“Sono presidente dell’Albo per gli esperti in Analisi sensoriale del miele da quando è stato fondato e approvato a livello ministeriale, saranno una decina d’anni, fin dall’inizio. Sono una dei soci fondatori e la parte di analisi sensoriale è stata sempre più valorizzata, sicuramente la dottoressa Piana aveva iniziato questo discorso prendendo l’impronta dal Professor Gonnet, che è stato l’iniziatore di questo tipo di analisi. E naturalmente queste conoscenze sono un patrimonio comune che può servire ad avvicinare il miele ai consumatori, far conoscere meglio il miele agli apicoltori stessi, e che quindi possono avere tanti tipi di risvolti che cerchiamo di ampliare, senza peraltro sostituire queste analisi alle analisi che sono più tipicamente scientifiche: nelle analisi sensoriali, infatti, c’è sempre un margine di soggettività che non può assolutamente essere eliminato.
Sicuramente anche a livello dell’albo c’è stata un’evoluzione, adesso abbiamo fatto delle revisioni anche a livello dei corsi, per cui saranno tre corsi, tre livelli per accedere al titolo, perché riteniamo che sia importante qualificare sempre di più quelli che si accingono ad affrontare questo ruolo, le cose sono state inviate al Ministero per l’approvazione, dopodichè verranno ampiamente discussi nell’ambito dell’albo questi aspetti. E poi c’è un ulteriore discorso, quello dell’utilizzo del miele in accostamento ad altri cibi, che stiamo portando avanti.
.Le metodiche stesse dell’analisi sensoriale si sono evolute, anche i sistemi di presentare i mieli, io ritengo che, anche su esempi di albi inerenti altri alimenti, si possa procedere sempre di più per migliorare. Anche con l’attività dell’albo sono stati fatti tanti incontri non solo nell’ambito del miele, ma con esperti di altri tipi di alimenti.
Quelle indagini di cui siamo stati –io e questi colleghi- precursori, hanno avuto una valenza che viene sempre più riconosciuta. Con le DOP e le IGP, noi abbiamo fatto dei lavori preliminari per vedere come sono fatti i mieli e adesso si cerca di realizzare dei marchi di origine geografica o botanica che si basano proprio su questi studi, che sono proseguiti. Trovo che tutto ciò che abbiamo fatto via via trovi applicazione. L’analisi sensoriale è una cosa che si è aggiunta durante questi studi, a complemento anche di questi studi, e può essere un valore aggiunto alle analisi del miele. Le analisi fisico-chimiche si sono approfondite sempre di più e ci permettono di rilevare anche quantitativi minimi di sostanze contaminanti e quindi chiaramente con la tecnologia, con l’approfondimento delle conoscenze conosciamo sempre più aspetti del miele, anche sotto l’aspetto delle sostanze volatili, degli aromi. Quindi abbiamo un quadro sempre più preciso dei mieli e anche degli altri prodotti dell’alveare.
Attualmente, nel contesto delle DOP, stiamo facendo delle indagini sui mieli della Provincia di Torino e della Provincia di Biella”.

Un contesto problematico
“Anche se adesso c’è un po’ di stasi, si è sviluppata la questione dei mezzi terapeutici che possono derivare dall’apicoltura.
Una delle problematiche potrebbe essere che certi apicoltori vadano a cercare non tanto la genuinità del miele, quanto il mezzo per non far vedere ciò che fanno di non bello nell’alveare, queste è una delle problematiche a cui stiamo assistendo, sia per quanto riguarda in particolare le sostanze usate contro la varroa, ma anche le sostanze antibiotiche. Il professor Vidano tuonava contro l’uso del sulfatiazolo e avevamo assistito insieme a disastri di apicoltori che avevano continuato ad usare questa sostanza per tanti anni. E quindi la situazione, per certi aspetti, non è cambiata, con dei metri di rilevamento più efficaci, questa è una delle problematiche che purtroppo ci troviamo ad affrontare. Certo, una volta l’apicoltura era più semplice perché non c’erano questi nemici, e non c’era la varroa. C’era la peste americana, che adesso è caduta un po’ nel dimenticatoio, ma non dobbiamo dimenticarcene anche noi. Altre problematiche sicuramente, ma non erano così gravi come quelle attuali. E’ il contesto globale e ambientale e quello specifico dell’alveare che diventano sempre più problematici”.

Redditività delle piante nettarifere
“Io avevo fatto un lavoro sulla facelia, che è una pianta molto apprezzata dagli apicoltori, una specie non autoctona che però può essere molto utile in periodi di scarsità di fioriture. E ha anche il vantaggio di non diventare naturalizzata, per cui, visto che si cerca di rispettare il più possibile la naturalità dell’ambiente, non dovrebbe dare grossi problemi. Si tratta di lavori molto impegnativi, prendendo il nettare dai singoli fiori isolati per valutare un poco il quantitativo di zuccheri. E’ chiaro che con la facelia non si può fare un discorso di miele uniflorale. Io ho visto solo un miele fatto da un apicoltore che aveva piantato una grande estensione di facelia, in cui effettivamente c’era una certa preponderanza di questa pianta, però è molto difficile traslare l’aspetto della quantità di prodotto dal singolo fiore alla produzione totale, perché ci sono tanti fattori che intervengono. Anche le classi mellifere in cui vengono inserite le varie piante sono valide solo in linea di massima, perché ci sono troppe variabili che influiscono. Un lavoro che era interessante in questo senso era stato fatto da una ricercatrice polacca, la Demianovicz, che aveva utilizzato dei grossi capannoni, riuscendo a produrre dei mieli uniflorali. Con questa sperimentazione, che sicuramente è stata molto costosa e impegnativa, ha potuto avere un quadro, per quanto limitato –perché non si trattava di un ambiente naturale ma chiaramente protetto-per avere un miele assolutamente uniflorale, ha potuto avere un’idea della reale produzione su una pianta –perché ha usato la stessa superficie, almeno così è indicate nelle sue metodiche dei suoi lavori, e oltre tutto, cosa molto interessante, si vedevano realmente i quantitativi di polline provenienti da un miele del tutto uniflorale. Questi studi sono serviti molto di riferimento, però realizzare cose del genere sarebbe costosissimo. Questo veramente ci potrebbe dare un’idea più precisa della produttività, perché anche se noi facciamo tanti studi in campo, anche le cosiddette mappe mellifere non sono mai delle cose assolutamente risolutive. Ho visto tanti lavori fatti su questi aspetti e diciamo che sono lavori che sono sempre molto opinabili. Chi visita proprio in campo, bene, ciò che fanno le api, poi vede i mieli, come faccio io, capisce che questo è un discorso che si presta a tantissime variabili, e quindi è molto difficile”.

Evoluzione dei mieli/evoluzione del territorio
“Anche nei mieli c’è stata un’evoluzione, e adesso sto studiando la questione dei mieli di castagno che stanno modificandosi, per cui bisogna anche vedere quanto c’è di derivante dall’ambiente naturale e quanto anche può influire l’attività di certi apicoltori. Sono cambiate lo colture, la Pianura Padana ha assunto degli aspetti abbastanza negativi dal punto di vista dell’apicoltura, per tanti motivi. L’impoverimento della biodiversità si verifica anche in zone di montagna con l’abbandono di molte a zone a pascolo, oppure per un pascolo eccessivo. Stiamo vedendo una forte riduzione della biodiversità e ciò si riflette anche sul miele. E quindi si tratta di un discorso molto complesso. Vediamo anche un continuo apporto di specie esotiche che soppiantano le altre, parlo per esempio delle specie che si trovano lungo le strade. Io avevo fatto già nell’ 81 un lavoro, che avevo presentato a un congresso, organizzato dal Professor Vidano, sul passato dell’apicoltura subalpina, per cui avevo preso in esame questa aspetti dell’evoluzione della flora, evoluzione che va accentuandosi: sta soprattutto impoverendosi, è vero che c’è l’apporto di qualche specie esotica, come l’ailanto che anche qui sta diventando sempre più frequente, però anche il nettare di ailanto non è poi così negativo, se non fosse che può cambiare un po’ la composizione dei mieli di robinia. Quello a cui ho assistito nel tempo è stato anche proprio un restringersi dei periodi di fioritura: specie che una volta fiorivano in piena estate adesso fioriscono sempre più all’inizio dell’estate e si avvicinano sempre di più alla fioritura della robinia, e quindi ci sono delle situazioni probabilmente legate all’incremento termico che si sta registrando che cambiano anche la fisionomia dei mieli. E poi la questione del castagno la trovo un po’ preoccupante, perché viene e mancare un miele tipico, conosciuto per le sue caratteristiche di miele poco dolce, ormai aveva trovato un notevole mercato. Un altro discorso che stiamo osservando è quello dell’esplosione della metcalfa seguita dalla sua riduzione, per cui per questo miele che molti avevano imparato ad apprezzare, per cui si era creato un mercato, adesso tende a scomparire. L’evoluzione anche in questo settore è notevole nei tipi di prodotti che si possono realizzare. E bisogna tenerne conto per fare un quadro delle produzioni piemontesi.
Perché il castagno sia diminuito, è una cosa che sto studiando, ed è un discorso che ho già avanzato alla Commissione Internazionale sul miele e che intendo continuare, perché ci possono essere tante cause, ma non è ancora ben chiaro il quadro: ci vogliono molti studi, ci vorrebbero anche dei finanziamenti per poter portare avanti concretamente questo discorso. Purtroppo le ricerche vengono fatte, ma siamo sempre più condizionati proprio per mantenerci, per poter lavorare dobbiamo lavorare.
Adesso per il castagno c’è anche il problema di questo nuovo insetto che è arrivato dal Giappone, ma lì a sua volta era arrivato dalla Cina, per cui un po’ in tutta Italia, dove è stato distribuito materiale vivaistico, ci sarà sempre quel problema, che si aggiunge però a cose già pregresse, perché questo cambiamento è in atto non solo da quando è arrivato questo insetto, che non è ancora così diffuso per fortuna. Si chiama Dyocosmus kuriphilus, ed è un insetto che introduce le uova nelle gemme, e poi queste gemme diventano galle, quindi si ha sempre meno produzione di fiori, di frutti. La pianta chiaramente deperisce perché le foglie non si sviluppano, sono penalizzate dalla presenza di queste galle e quindi si tratta di una grave problematica. Il castagno ha anche gravi malattie fungine, che lo hanno fortemente ridotto. Per cui probabilmente altre fioriture concomitanti prendono maggior parte a questi tipi di miele.
Il discorso del girasole è già da parecchio tempo che si fa. Sicuramente non per studi diretti, ma per quanto si può comprendere è la questione degli OGM e il problema degli insetticidi usati per la concia del seme che possono avere notevole impatto su questi aspetti, quindi è un discorso anche qui globale che investe più settori e più problematiche. E meriterebbe anche qui approfondire, con vari mezzi, con vari tipi di indagine”.

La difficoltà di trasmettere un’eredità
“Ormai la ricerca è sempre più in difficoltà, l’autonomia dell’Università non ha aiutato sicuramente in questo, ogni tipo di ricerca costa e le persone che ci lavorano devono essere sostenute. Quelle che hanno acquisito una professionalità, come la dottoressa Ferrero, avrebbero bisogno di avere un regolare incarico e non sperare in una borsa o nell’altra, perché si tratta proprio di una perdita di competenza. Io vedo che anche il patrimonio che mi deriva dalla conoscenza dell’ambiente, dell’attività dell’ape, eccetera, rischia di andare perduto perchè nessuno vive in eterno e quindi tutte le cose che ho realizzato e imparato e cercato di spiegare nel campo dell’apicoltura in senso lato rischiano di andare perdute, se non ci saranno dei successori. L’apicoltura ha bisogno di qualcuno che la studi indipendentemente da qualsiasi sollecitazione, sopra ogni possibile interesse personale, questo trovo che sia indispensabile da attuare, altrimenti si avrà quello che si avrà ed è una cosa che mi spiace molto.
Per fortuna ho avuto una quantità di ragazzi che hanno scelto me per la tesi, e non solo nel settore dell’apicoltura, e mi fa piacere vedere che sono apprezzati, però non sempre riescono a proseguire nel filone di ricerca. C’è un’altra ricercatrice che adesso lavora in Inghilterra, perché c’è sempre il problema del posto di lavoro, che ha lavorato con me sull’ecotossicologia e che aveva fatto delle cose realmente molto interessanti, Il problema è di finalizzare in qualche modo l’attività di questi giovani che hanno molto entusiasmo, molta passione, sono capaci, però se non trovano uno sbocco effettivo devono rivolgersi ad altro. Con grave perdita di ciò che hanno acquisito e mancanza proprio di successori, anche perché realizzare una professionalità nel campo dell’analisi melissopalinologica è una cosa molto difficile, non è da tutti e quindi è una grossa perdita che si realizzerebbe se non ci fosse uno sbocco effettivo per queste persone, la stessa cosa per l’analisi sensoriale. Quelle chimico-fisiche son più semplici, tanti laboratori le possono fare, ci possono essere quelli che si specializzano in questi settori, ma possono farlo col miele come con altri prodotti. Le analisi melissopalinologiche sono più specifiche e richiedono un grande lavoro.
Soprattutto quando queste associazioni apistiche hanno certi finanziamenti, potrebbero esserci più collaborazione, sempre tenendo conto dell’integrità della ricerca, perché la ricerca dovrebbe essere applicata. Ci dovrebbe anche essere una ricerca di base, perché adesso si tende a dimenticare la ricerca di base che è tutto ciò che ci consente di poter realizzare la ricerca applicata, però sicuramente ci potrebbe essere molta più collaborazione, tenendo presente questo aspetto.

“La ricerca può avere un apporto da chiunque e fornire un apporto a chiunque”.

Grugliasco, 7 dicembre 2007

Paola Ferrazzi: Evoluzione della flora apistica nell’Italia del Nord (pdf 670 kb)
Tratto dal volume: Per un museo dell’Apicoltura in Piemonte: III – Passato e presente dell’Apicoltura subalpina, 1982.