Storia

Fratelli Piana – Cavaglietto

|  I fratelli Piana di Cavaglietto. Una grande tradizione interrotta

a cura di Paolo Faccioli, aprile 2006

Ai primi d’aprile del 2003 arriva all’Ufficio Postale di Cavaglietto una lettera dalla Turchia (figura 1). E’ indirizzata a un’azienda che ha chiuso i battenti ormai da alcuni decenni, ma delle cui regine, all’apicoltore turco che ha spedito la lettera, è arrivata la fama: i Fratelli Piana. Anni prima, quando l’azienda era ancora nel pieno dell’attività, un’altra lettera, in questo caso proveniente dall’Arabia Saudita, era stata recapitata al destinatario, nonostante l’indirizzo sulla busta indicasse semplicemente: “Fratelli Piana – Italia”.

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Documento Piana
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Figura 1 – Lettera arrivata all’Ufficio Postale di Cavaglietto dalla Turchia, datata 28.03.2003, a decenni dalla chiusura dell’azienda dei Fratelli Piana, in cui un agricoltore turco chiede informazioni su come ricevere le api regine di cui ha sentito parlare. Figura 3 – Copertina della Beekeeper’s Gazette dell’agosto 1914 in cui compare la pubblicità delle regine Piana.

Omonimi, ma senza nessun legame di parentela, con la storica Azienda Piana di Castel San Pietro (Bologna), gli originari fratelli Piana furono Antonio e Gaudenzio. Il vero fondatore dell’azienda fu Antonio, padre di Giovanni e Pietro (figura 2), la seconda generazione di Fratelli Piana; Gaudenzio non ebbe figli ed ebbe un ruolo minore. Pietro ebbe a sua volta un figlio il cui nome sintetizza i mitici inizi, Antonio Gaudenzio, che inizialmente fu coinvolto nell’azienda familiare e che ci ha fornito fotografie, documenti e numerose informazioni.
Il padre di Antonio e Gaudenzio era stato proprietario di una miniera e di un albergo, oltre che di un servizio postale e di carrozze in Valstrona. Rimasto orfano a 17 anni, per inesperienza Antonio dissipò il patrimonio, e cominciò a guadagnarsi da vivere come fotografo e come orologiaio, fino all’inizio della attività apistica, che non costituiva per lui una novità assoluta. Originario della Val di Susa, aveva infatti posseduto da ragazzino una decina di bugni. E’ grazie alla sua capacità di fotografo che possediamo una rara serie di foto storiche. Autodidatta, conosceva quattro lingue. Quando partecipo’ alla prima guerra mondiale, era già da tempo apicoltore.
Su un numero del 1914 della Beekeepers Gazette edita in Irlanda si trova già la pubblicità delle regine dei Fratelli Piana (figure 3 e 4), regine “di pura razza italiana e selezionate dopo essere state sottoposte a verifica”, con le modalità di spedizione postale, che comportavano la possibilità di rimpiazzo immediato per le regine morte che venissero restituite senza apertura della gabbietta. Il commercio di regine includeva Svezia, Russia, Argentina e Brasile, e solo durante la politica autarchica del Fascismo esso fu forzatamente limitato all’Italia.
Antonio Piana aveva aperto anche una scuola di apicoltura a Borgomanero (figura 5). Questo contrasta in apparenza con varie testimonianze sulla segretezza e ritrosia dei fratelli Piana: in realtà, come ci ha riferito il nipote Antonio Gaudenzio, si trattava di una scuola che forniva semplicemente una base elementare, per poi legare gli apicoltori novelli a un rapporto di dipendenza per l’acquisto di api, materiali e la trasformazione della cera. C’è chi ricorda che la consegna della cera avveniva rigorosamente fuori dall’uscio. La cera veniva ritirata per la lavorazione o lo scambio con fogli cerei, l’uscio chiuso. Il cliente non veniva invitato a entrare.

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Documento Piana
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Figura 2 – Il capostipite Antonio Piana con i figli Giovanni e Pietro nell’apiario di fecondazione. Figura 4 – Pubblicità delle regine Piana sulla Beekeeper’s Gazette che garantisce la purezza della razza italiana.
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Figura 5 – Un biglietto da visita con la pubblicità dell’Azienda Fratelli Piana. Nella Prima Inchiesta Apistica Nazionale (1937) i Fratelli Piana compaiono, nella relazione di A. Venturelli sulle industrie apistiche, come produttori di api regine, fornitori di famiglie d’api, produttori e venditori di fogli cerei. Figura 6 – Apiario di fecondazione con nuclei a due scomparti, ciascuno contenente due telaini da melario.

L’attività per cui l’azienda Fratelli Piana acquisì fama internazionale fu l’allevamento di regine. Essi disponevano di nuclei di fecondazione a due scomparti, in cui venivano utilizzati due telaini da melario ciascuno, nuclei che negli anni di maggior sviluppo raggiunsero i 6-7000 (figura 6 ), con una produzione che raggiunse le 50-60 mila regine l’anno, tant’è che l’Ufficio Postale di Cavaglietto venne potenziato per assicurare la timbratura delle gabbiette di regine e il loro trasporto all’Aeroporto della Malpensa. A detta di Antonio Gaudenzio, le stecche con le celle venivano inserite, 36 alla volta,in alveari orfanizzati, che potevano ospitare tre livelli di celle. I Piana si erano dotati di un’incubatrice a corrente elettrica (figura 7) e di gabbie prendifuchi per potenziare le arnie di fecondazione a casa e poter iniziare anticipatamente l’allevamento.
Essi manifestarono anche creatività nella messa a punto di materiali per l’allevamento.
A un certo punto brevettarono un’arnia che evitasse la sciamatura e che sembra si ispirasse allo stesso principio dell’arnia ungherese “Konya” a nido rotante, di recente immissione sul mercato. Tuttavia, poiché una famiglia d’api sciamò, ritirarono il prodotto dalla vendita.

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Documento Piana
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Figura 7 – Incubatrice a corrente elettrica Figura 7 bis – Giovanni e Pietro Piana intenti alla lavorazione delle celle reali. Sono i primi anni Trenta e i due hanno poco più di vent’anni
Documento Piana
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Figura 7 ter – Antonio e Pietro Piana intenti al controllo delle celle reali.

Figura 8 – Attestato di privativa industriale presentato il 17 maggio 1932 per la gabbietta da introduzione di regine “Gapir” e ottenuto in data 6.4.1933.

Più successo ebbe la gabbietta “Gapir” per l’ introduzione delle api regine, che brevettarono nel 1933 (figure 8,9,10,11). La gabbietta funziona permettendo un primo accesso ad essa, da parte di un gruppo di api di casa definite “neutrali”, dopo una quarantina d’ore, attraverso un tubicino corto ripieno di candito. La regina viene così raggiunta da questo gruppo limitato di api, mentre già dall’esterno era cominciata con esse una certa mescolanza degli odori. Non può però uscire a sua volta, perché bloccata da un’escludiregina. Potrà uscire in seguito da un secondo tubicino, più lungo del primo, quando le api l’avranno liberata finendo di consumare il candito, con un tempo supplementare di altre venti ore,in modo da assicurare una mescolanza ancora più efficace degli odori tra ape regina e famiglia.
L’innovazione non si limitò al settore allevamento. All’esposizione di Domodossola nel 1933, i Piana esposero delle confezioni di miele di acacia in tubetti tipo maionese, un tipo moderno di presentazione che è diventata poi popolare negli ultimi decenni (figure 12, 13, 14).
Anche la differenziazione dei tipi di miele li vide innovatori, e alla stessa esposizione presentarono un vaso a colonna riempito a tre livelli diversi di miele di castagno, millefiori e acacia (figure 13 e 14).

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Figura 9 – Il disegno della gabbietta allegato alla documentazione per ottenere il brevetto. Figura 11 bis – Le istruzioni in italiano e spagnolo per l’uso della gabbietta “Gapir”.
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Figura 11 – Gabbietta “Gapir” per l’introduzione di regine in alveari orfani. Figura 10 – Gabbietta “Gapir” per l’introduzione di regine in alveari orfani.
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Figura 11 Ter – Le istruzioni in cirillico per l’uso della gabbietta “Gapir”.

Figura 15 bis – “Il miele in famiglia”, volantino pubblicitario per il miele prodotto dai Fratelli Piana.

I Piana curarono anche una pubblicità qualitativa del miele, opponendo il miele “purissimo” centrifugato al miele torchiato, ottenuto “spremendo favi api miele polline e tarme e riducendo il tutto a miele”. Essi seppero anche valorizzare, centrando con moderna sensibilità il vero potenziale di consumo del miele nel suo uso continuativo e alimentare, più che terapeutico, identificando nella colazione uno dei momenti chiave e nei bambini i fruitori più promettenti. Segnalarono inoltre una varietà di possibili altri usi alimentari del miele, quali livellazione dei mosti, fabbricazione di vini, sciroppi, mostarde, pasticcerie, liquori.
E’ immaginabile che la frequentazione di Don Giacomo Angeleri, di cui Antonio Piana ricevette periodiche visite (visite che ricambiò raggiungendolo a sua volta nella stazione di Pragelato), possa aver avuto una qualche influenza in questa direzione, su cui il sacerdote stesso si stava movendo in quegli anni.
Antonio Piana, che aveva partecipato alla guerra del ’15-’18, volle racchiudere quella che per lui era stata sicuramente un’esperienza intensa e indimenticabile nel marchio “L’Alpino” che conferì al suo miele (figura 15).

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Figura 13 – Lo stand dei fratelli Piana alla fiera di Domodossola, nel 1933, è visibile il vaso a colonna per la presentazione di mieli di varietà diverse e il miele di acacia in tubetto. Figura 14 – Altra immagine dello stand Fratelli Piana alla Fiera di Domodossola del 1933.
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Figura 15 – L’etichetta del miele “L’Alpino”.

Figura 12 – Lo stand dei fratelli Piana alla fiera di Domodossola, nel 1933.

I Piana, che arrivarono, oltre ai nuclei per la produzione di regine, a possedere intorno ai 600 alveari per la produzione di miele, praticarono anche il nomadismo, inizialmente con un carro a cavalli, trasportando arnie Dadant Blatt a 12 telaini fornite di distanziatore e coperte di una rete nella parte superiore. Per accedere a terreni accidentati avevano elaborato un carrettino capace di contenere quattro arnie alla volta e che veniva tirato con funi lungo un binario di scale. In seguito modificarono il cassone di un camion “Dodge” perché potesse trasportare 48 alveari. Uno dei viaggi che Antonio Gaudenzio ricorda è quello sul Po per la fioritura tardo-estiva della solidago. I Piana mantennero anche una serie di apiari lungo tutto il lago d’Orta e sulle sponde del lago Maggiore, per sfruttare il castagno.
Negli anni 60, a 50 anni, dovettero andare a lavorare in fabbrica, ma non smisero mai di tenere le api, mantenendone un centinaio a testa. Giovanni vi rimase, Pietro, una volta pensionato, tornò a gestirne trecento. L’ultimo erede della tradizione apistica dei Piana, Antonio Gaudenzio, smise l’attività, dopo aver tentato inutilmente di trovar modo di contrarre un’assicurazione sulla produzione.

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Figura 18 – 1926: Un’ordinazione di regine da parte di un rivenditore tedesco di materiale apistico. Figura 17 – L’involucro postale delle gabbiette per la spedizione di regine.
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Figura 16 – Gabbietta per regine a due scomparti, per la spedizione a grande distanza. L’immagine è tratta da una rivista in lingua spagnola. Figura 19 – Lettera del 6 luglio 1926 che documenta il rapporto di fiducia tra l’Istituto di Apicoltura Moderna di Torino e Antonio Piana, forse recante la firma di Don Giacomo Angeleri.
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Figura 20 – 1926: Cartolina postale di un apicoltore principiante trentino, che chiede due regine per due famiglie orfane. Figura 21 – Convocazione, da parte della Federazione Fascista Agricoltori nell’ottobre 1933, di una “Giornata del Miele”per la promozione del prodotto nelle zone di Domodossola, Borgomanero e Novara. Novara, subito seguita da Torino e Vercelli, compare in testa alla lista delle città che meritano un “posto d’onore” per l’attivismo legato alle Giornate del Miele. Così afferma Amedeo Venturelli nella sua relazione “L’economia nell’allevamento delle api”, contenuta nella Prima Inchiesta Apistica Nazionale, 1937.
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Figura 22 – Convocazione, nell’ottobre del 1933, della Commissione Apistica Provinciale da parte della Federazione Fascista Apicoltori. Antonio Piana ne era membro. L’ordine del giorno prevede la nomina di esperti apistici. Figura 23 – Altra convocazione della Commissione Apistica Provinciale indirizzata ai Fratelli Piana, aprile del 1933.