Storia

Don Giacomo Angeleri – Storia

|  Don Giacomo Angeleri: un apostolato nell’apicoltura

a cura di Paolo Faccioli – aprile 2006

Don Giacomo AngeleriLa prima tra le massime che don Giacomo Angeleri propone all’aspirante apicoltore, invitandolo a studiarle a memoria, esorta a “non acquistare vecchi libri”. Non faremo a questo prete intenso, attivo, energico e autorevole il torto di attenerci alla lettera alla sua massima: il suo “Cinquant’anni con le api e gli apicoltori”, pur pubblicato nell’ormai lontano 1955, non più ristampato e ormai di difficilissima reperibilità, è tutt’altro che un “vecchio libro”. Anche se occorre passarlo, su più un argomento, a un vaglio critico anche severo.
Anche se da innovatore, Don Angeleri fu certamente ansioso di liberarsi di conoscenze stantie e di certe polemiche ormai cervellotiche (in particolare su quale fosse il miglior tipo d’arnia), egli fece da ponte tra l’apicoltura del passato e quella di un futuro che oggi è il nostro presente. Ed è sicuramente da considerarsi uno dei padri dell’apicoltura nazionale.
Nato a Gamalero (Alessandria) il 30 marzo 1877, da Alessandro e Rosa Malvicini, venne ordinato sacerdote ad Asti nel 1902, dopo avervi compiuto i suoi studi ginnasiali, liceali e teologici.
Lo storico Attilio Ianniello ricostruisce la figura di don Angeleri collocandolo in “quella schiera di sacerdoti formatasi nei seminari in un periodo di notevole cambiamento di clima in ambito ecclesiale, dovuto al dibattito e alle speranze portate dall’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII”. Lo avrebbero animato “passione evangelica, spirito scientifico di ricerca, desiderio di migliorare la qualità della vita delle classi subalterne, in particolar modo del mondo contadino, sia dal punto di vista economico che morale”.
Anche il padre Alessandro, morto nel 1928 all’età di 83 anni, fu apicoltore. Don Giacomo ne parlò come di “un lavoratore indefesso e un agricoltore intelligente”, i cui “campi e le vigne erano di esempio a tutti”: nel necrologio pubblicato su “L’Apicoltore Moderno”, scelse di ricordarlo raccontando un episodio in cui il padre, settantatreenne, nel richiudere un’arnia esposta alla Fiera di Milano che, apertasi per incidente, stava lasciando fuggire intorno le api, prese così tante punture da rimanere cieco per una settimana: ma non abbandonò neanche per un istante la critica situazione.
Lavori in apiarioIn un editoriale dell’Apicoltore Moderno apparso dopo la sua morte, nel settembre 1957, si ricorda come “la delicata salute (di don Angeleri) non poteva reggere al suo istinto di lavoratore senza posa, quale il dovere di maestro e di Vice Parroco esigevano, e fu costretto a prendersi un periodo di riposo. Fu in questa pausa che l’amore alle api gli asperse la via alla fama e alla gloria”.
Egli cominciò l’apicoltura in condizioni di povertà, costruendosi le prime cento arnie con materiali di recupero.
Ai primi del 900 l’apicoltura razionale era ancora soprattutto appannaggio di proprietari terrieri, nobili, professionisti, commercianti, ufficiali, insegnanti, oltre che di numerosi sacerdoti. In Piemonte, un primo indizio del rifiorire dell’ apicoltura dopo alcuni secoli di profonda crisi e abbandono, fu la pubblicazione nel 1771 del “Trattato sopra la cura delle api” dell’inglese Thomas Wildman, dedicato al Duca di Savoia Vittorio Amedeo dal traduttore, il letterato Pier Domenico Soresi. Gli editori sottolineavano come “recar non dee meraviglia, che in questo mezzo secolo, il quale tutto respira economia pubblica, commercio ed agricoltura, si erigano in diversi paesi Accademie d’uomini scienziati, ed osservatore, le quali non hanno altro scopo che le ricerche per contribuire all’avanzamento del doppio prodotto, che delle api ne deriva”. Tra il 1830 e il 1850, la maggior parte del Consiglio del Consorzio degli Apicoltori era costituito dai membri del Consiglio di Stato piemontese. Dopo un periodo che coincise con le guerre del Risorgimento, in cui l’apicoltura piemontese fu temporaneamente eclissata da quella veneta e lombarda, ai primi del novecento cominciò un nuovo periodo di fioritura. E’ così che nel 1905, ad Asti, il Marchese Borsarelli di Rifreddo, il conte Caissotti di Chiusano e il Professore Edoardo Perroncito, Preside della Facoltà di Veterinaria di Torino, tutti cultori delle api, si accordarono per riunirsi e scambiarsi regolarmente informazioni sul modo migliore di allevarle. Insieme a Monsignor Enrico Schierano, avevano perorarato e ottenuto dal Vescovo di Asti e dall’Arcivescovo di Torino “la concessione che don Angeleri potesse dedicarsi a questa sua spiccata attitudine, in servizio degli stessi fini spirituali a cui l’aveva consacrato il sacerdozio” , come ricorda Attilio Vaudagnotti nel numero speciale “in memoriam” de L’Apicoltore Moderno.
Lezione praticaNomi e titoli dei personaggi che circondavano don Angeleri testimoniano un’apicoltura delle classi colte e benestanti. Egli non rimase tuttavia confinato in ristretti circoli, ma operò come divulgatore e vero e proprio missionario dell’apicoltura, esplicando il suo ruolo di “ponte” tra l’antico e il nuovo con grande rispetto e comprensione per l’apicoltura contadina del “bugno villico”, che considerò -per usare le sue stesse parole- il vivaio di quel frutteto costituito dall’apicoltura razionale (vedi “l’apicoltura villica”). Nei primi decenni del Novecento vanno anche costituendosi le basi di quelle che sono le moderne aziende professionali, a partire non più da una élite colta ma da uno sforzo -intriso di quella passione che solo l’apicoltura riesce a provocare- delle classi povere. E l’influenza di don Angeleri è determinante. Nicola Cauda e Gervasio Brezzo, creatori appunto di alcune tra le prime grandi aziende piemontesi, andavano in bicicletta a Torino dal Roero ad ascoltare, la domenica, le lezioni di don Angeleri, così come il loro maestro Domenico Bordone, detto Minot. E alcuni preti della stessa zona, quali don Sandri e don Panera, trasmettevano gli insegnamenti di don Angeleri, insieme alla loro stessa passione, in modo capillare nelle campagne. Non c’è apicoltore che non sia stato, in modo diretto o indiretto (magari semplicemente tramite l’abbonamento a “L’apicoltore Moderno”) influenzato da don Angeleri: dai fratelli Piana di Cavaglietto, al futuro “Cavaliere” Paolo Ferraro, ai Poletti e i Soldavini. Nicola Cauda ricorda come argomento Travaso api bugno villicoprincipe delle lezioni di don Angeleri le dimostrazioni di travaso dal bugno villico all’arnia razionale. Molte sono le foto che lo mostrano intento a questa operazione, quasi una metafora che raccoglie lo spirito della sua missione: il passaggio dal vecchio al nuovo, in cui entrambi convivono e si integrano con reciproco rispetto.
Oltre che a Torino, Don Angeleri istituì un piano di scuola itinerante, in accordo con le autorità locali, raggiungendo Susa, Pinerolo, Ivrea, Chivasso.
Nel 1921 assunse la direzione della rivista “L’Apicoltore Moderno”, iniziata nel 1909, e diretta fino al passaggio di consegne, dal Prof. Carlo Passerini, che continuò a collaborarvi fino alla morte.
L’Apicoltore Moderno esercitò un’influenza profonda sull’apicoltura piemontese e nazionale. All’epoca le riviste di apicoltura avevano un carattere spesso tagliente e polemico, oggi immaginabile solo in certi forum su internet, riflettendo così le contrapposizioni che si manifestavano all’interno del mondo dell’apicoltura. E Angeleri fu sicuramente un carattere pepato.
Guidandomi nei sotterranei stipati di libri e riviste dell’Istituto di Apicoltura dell’Università di Torino, il professor Aulo Manino, scherzando, mi fa notare che le collezioni di alcune riviste si interrompono probabilmente a causa di rotture che don Angeleri aveva avuto coi loro direttori.
L’Apicoltore Moderno ospitò una vasta serie di articoli di don Angeleri che tocca tutti gli ambiti inerenti l’apicoltura, dalla tecnica apistica alla legislazione, dai problemi di commercializzazione alla biologia. Una delle rubriche caratterizzanti la rivista fu la “Gara degli Apicoltori”, che su ogni numero ospitava le domande degli apicoltori e le risposte di don Giacomo. Queste domande e risposte furono così tante, che fin dal 1935 egli pensò di raccoglierle in un libro, anche se poi non se ne fece niente.
Con la pubblicizzazione su “L’Apicoltore Moderno” e sulla stampa agricola dei corsi di apicoltura, arrivarono richieste da tutta Italia di partecipazione a Mostre dell’Agricoltura e per l’organizzazione di Corsi e Congressi Provinciali, oltre che di visite di scolaresche, feste e giornate del miele, conferenze e Giornate di Studio, che toccarono centri come Montecatini, Bergamo, Vicenza, Mantova, Rovigo, Alessandria, Asti, Milano, Roma, solo per citarne alcuni.
Dando i melariNel 1928 si apre a Torino “il primo negozio italiano per la vendita del miele e dei suoi derivati, “La Casa del Buon Miele”, in corso Giulio Cesare 99 (all’epoca via Ponte Mosca), nella sede che era stata dal 1922 il “Quartier Generale” di Angeleri a Torino: tale sede ospitava già l’Istituto Tecnico Sperimentale di Apicoltura (associazione di apicoltori, erede di una Federazione Apicoltori Subalpini fondata ad Asti nel 1905 e di un successivo Istituto di Apicoltura Moderna, che diede origine all’Istituto già menzionato insieme a un Consorzio Produttori Miele). La sede di Via Ponte Mosca era inoltre dotata di una ricca biblioteca , vi trovava sede la redazione dell’ “Apicoltore Moderno” e vi si svolgevano corsi di apicoltura.
Durante il periodo fascista la rivista continuò la sua attività con ottimi articoli di tecnica apistica così come continuarono le iniziative di studio e pubblicizzazione del miele.
Nel 1935 don Angeleri, in occasione del Congresso Nazionale degli Apicoltori Italiani a Roma, potè presenziare a un’udienza papale annunciata a sorpresa, insieme, tra gli altri, alla sorella e al conte Zappi Ricordati. Recò come dono alcuni vasi artistici di miele (andati a prelevare con un improvviso viaggio a Torino, insieme alla sorella, la notte prima dell’evento), illustrandone a Pio XI le qualità. Pio XI, sentito che uno dei mieli proveniva dal Monviso, avrebbe chiesto, sorridendo, in dialetto piemontese: “viene da Crissolo? Dal Pian del Re?” “Evidentemente- commenta l’anonimo autore della testimonianza, comparsa sul numero speciale commemorativo de L’Apicoltore Moderno-settembre 1957- aveva compreso il gentile pensiero degli apicoltori che, coll’offrirgli il miele migliore d’Italia, volevano ricordargli quei monti a lui ben noti”. Il Papa ebbe anche modo, durante la benedizione, di ricordare che lui stesso aveva, sessant’anni prima, allevato le api.
Apicoltura a PragelatoNel 1937 nacque a Pragelato, frazione Sucheres Basses, in Val Chisone, dove don Angeleri disponeva di un consistente apiario, la Nuova Stazione Sperimentale di Apicoltura.
Negli editoriali dell’Apicoltore Moderno in periodo fascista, don Angeleri pagò un tributo da religioso al Concordato (1929) e all'”unità religiosa del popolo italiano” (1935), mentre in modi fermi ma garbati non cessò mai di battersi contro quegli aspetti che considerava coercitivi e autoritari nella legge sull’apicoltura promulgata nel 1925. Nel 1928 per esempio, in occasione del Censimento degli alveari, mentre si preoccupò che esso non preludesse a un’imposta e che non venisse fatto carico agli apicoltori dell’eventuale inesattezza delle denunce, commentò quell’articolo 13 che prevedeva la possibilità di proibire con decreto prefettizio l’apicidio. Angeleri si augurò che l’apicidio fosse contrastato non da un decreto prefettizio , ma dall’opera di persuasione degli apicoltori razionali e dalla consapevolezza dei contadini sulla maggiore convenienza dell’apicoltura razionale.
A Torino si fabbricano gli espertiCon la nascita della Repubblica si potè scagliare con veemenza contro la “fascistissima legge sui Consorzi” (i Consorzi Apistici obbligatori previsti dalla legge del 1925): “E’ passato il tempo in cui bisognava misurare le parole nello stesso ramo tecnico per evitare dei richiami. Ora ognuno può e deve dire la sua: non per difendere il puntiglio o l’interesse personale ma mirando al bene dell’apicoltura e degli apicoltori”, che per don Giacomo coincideva con un’organizzazione che partisse dal basso, dagli apicoltori stessi. Uno dei suoi bersagli fu anche la figura dell’ esperto apistico prevista dalla legge del ’25 (vedi “peste americana”). Questa sua posizione critica viene motivata sia da ragioni di adeguatezza professionale (un esperto preparato con un corso teorico non avrebbe potuto secondo lui insegnare nulla ad apicoltori che magari allevano api da cinquant’anni. Si istruissero piuttosto gli apicoltori a riconoscere i sintomi delle malattie!), sia da ragioni di economia del settore: in breve: l’apicoltura è povera e non può pagare impiegati. Usi lo Stato i suoi (i veterinari). Don Angeleri sembrava però non rendersi conto che il problema dell’adeguatezza professionale non era in questo modo affatto risolto. Ma un importante concetto è sotteso a questi ragionamenti, quello del valore in sé dell’apicoltura, anche indipendentemente dal suo prodotto principale: “L’apicoltura ha bisogno di essere considerata dallo Stato, non in quanto può produrre miele, ma soltanto come fonte di ricchezza per l’opera provvidenziale ed insostituibile che le api compiono; gli apicoltori non devono essere considerati per quel poco di miele che, certe volte, supera i bisogni delle api, ma come servitori delle api senza stipendio”.
Al XV congresso nazionale di Roma del 1947, che seguì un analogo congresso ad Ancona, la maggior parte degli apicoltori si pronunciò per l’abolizione dei consorzi obbligatori in favore di una libera associazione. E a Roma, don Angeleri ottenne anche che la delegazione piemontese fosse ricevuta da Pio XII, che in quella circostanza pronunciò un elogio del ruolo morale, sociale e religioso dell’apicoltura. (vedi Preti e apicoltura)
http://www.mieliditalia.it/aspromiele/images/s_angeleri14.jpgNell’aprile del 1948 l’Apicoltore Moderno uscì con un editoriale di don Angeleri dal titolo “Chiesa e politica”, in cui debordava dal campo dell’apicoltura e lasciava che facesse irruzione l’attualità politica. Siamo all’immediata vigilia delle elezioni del 1948, in cui si fronteggiano la Democrazia Cristiana e il Fronte Democratico Popolare. Don Giacomo prende pesantemente parte: “tanta è la propaganda e la sfrontatezza dei partiti che si nascondono sotto il nome ingannevole del fronte democratico popolare, che non pochi che si dicono cristiani, abboccano”. E conclude in toni apocalittici: “questa lotta elettorale non è politica, ma religiosa. E’ lotta tra la civiltà e la barbarie, tra il bene e il male, tra la libertà e la schiavitù, tra cristiani e anticristiani”.
Nel 1955 uscì il suo libro “Cinquant’anni con le api e gli apicoltori”, un’opera a carattere enciclopedico sull’apicoltura.
Don Angeleri morì nel 1957 nella sua casa di Reaglie, per la recidiva di una broncopolmonite. Ai solenni funerali fu presente, insieme alle varie Compagnie religiose, una folla di apicoltori e di suoi devoti ammiratori. Un commosso ricordo a più voci gli venne dedicato sul numero speciale dell'”Apicoltore Moderno” del settembre 1957.Ritratto di don Giacomo Angeleri apparso nel numero speciale de  L'Apicoltore ModernoLa sorella Maria Grada, che aveva sempre affiancato il fratello e che ne continuò le attività alla sua morte, stabilì una convenzione con l’Università di Torino che definì l’acquisizione, da parte dell’Istituto di Entomologia agraria e Apicoltura, della casa di Reaglie, di quella di Pragelato e della rivista L’Apicoltore Moderno, che cambiò il suo taglio divulgativo e militante prendendo un’ impronta più scientifica. Nel 1969 Ebbe inizio l’attività dell’Osservatorio per l’Apicoltura, sotto la responsabilità del Professor Carlo Vidano.
L’Apicoltore Moderno ha cessato le pubblicazioni nel 1997. Gli edifici di Reaglie e Pragelato sono oggi scarsamente utilizzati, persino malinconici nella loro condizione di scarsa utilità. Non sarebbe un buon compito per un’Associazione di Apicoltori piemontesi, prendersi carico in modo creativo di questo pezzo della sua stessa storia? Magari recuperando il rapporto con quell’Istituto di Apicoltura dell’Università di Torino che continua comunque a costituire un serbatoio di memoria e conoscenza?

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Arnia d.b. fondo EurekaArnia d.b. fondo Eureka
– Uno degli aspetti che fa di don Angeleri un padre dell’apicoltura moderna in Italia è la presa di posizione decisa e ferma, fin dall’inizio, per l’arnia Dadant Blatt come arnia unificante per l’apicoltura italiana..
La decisione di arrivare all’unificazione dei diversi modelli di arnia con la scelta del modello “Dadant Blatt” fu sanzionata al Convegno degli Apicoltori Italiani tenutosi a Napoli nel 1922, dopo la relazione dell’Ing. Carlo Carlini, che ne era stato uno dei principali propugnatori. Essa avvenne dopo decenni di discussioni e polemiche anche piuttosto sanguigne, a volte con scambi di insulti, sulle riviste apistiche italiane. Naturalmente il processo fu tutt’altro che facilmente e definitivamente concluso. Ancora nel 1923 Don Rosato, sulla rivista “L’Ape Italiana” di Torino proponeva, come modello che potesse raccogliere i lati positivi di tutti gli altri modelli esistenti, una sua “arnia P.E.C.M.A.”, dai telaini addirittura a forma di esagoni stretti in basso. E a tutt’oggi vengono di tanto in tanto proposti modelli diversi.
Don Angeleri motiva la sua presa di posizione ricordando che l’arnia D.B. si adatta al massimo sviluppo di una colonia, in cui la regina ha agio di deporre nei favi grandi senza la necessità di salire anche a melario. Ne sottolinea la modularità (tramite l’uso accorto del diaframma) per adattarla alle proporzioni di famiglie anche di dimensioni più modeste di quelle ottimali, ironizzando su come”ad ogni crisi dell’apicoltura, che succede regolarmente ogni 40-50 anni e che si fa più acuta dopo qualche annata deficitaria, gli apicoltori ne attribuiscono la causa alla capacità dell’arnia” . E osserva come il melario basso faciliti la smelatura evitando la rottura di favi, e non rischi di raffreddare il nido di covata. Una variazione che Don Giacomo propose, senza in nulla alterare i criteri e le dimensioni del modello standard, fu il “Fondo Eureka”, che forniva alle api un predellino ascendente per facilitare il movimento e la sosta delle api e sollevava di 12 centimetri l’altezza dell’arnia, “conservando il fondo sano e caldo”. Ripiegabile all’insù, poteva fornire un riparo contro pioggia e vento. Inoltre, aggiungeva, “dà all’arnia un po’di estetica”.

Casa di RoaglieQuesta foto documenta bene l’attuale situazione della casa dove don Angeleri visse l’ultima parte della sua vita, con un’intensità di incontri, lezioni, giornate di studio. In questa casa egli morì. Parte del lascito della sorella Maria Grada all’Istituto di Apicoltura dell’Università di Torino, essa è oggi per lo più tristemente chiusa e inutilizzata, salvo poche attività come le quindicinali riunioni della “Consociazione (ex-Consorzio) Apicoltori della Provincia di Torino” e qualche sperimentazione svolta nel piccolo apiario situato nel giardino dall’Istituto di Apicoltura dell’Università di Torino- Dipartimento di valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali.
La casa ha tra l’altro una sala riunioni, una biblioteca di libri e riviste apistiche piuttosto ricca. Vi sono, nei sotterranei, diverse arnie storiche (tra cui la rara arnia canavesana Duca d’Agliè, l’arnia cuoriforme Tonelli, l’arnia Sartori, l’arnia Angeleri fondo Eureka e tante altre).
La casa abbisogna di qualche lavoro di mantenimento e adeguamento degli impianti elettrici.
Sarebbe bello poterla immaginare di nuovo pulsante di passione apistica.