Storia

Don Giacomo Angeleri e il nomadismo

| Don Giacomo Angeleri e il nomadismo

a cura di Paolo Faccioli, aprile 2006

“Il nostro pensiero è questo e l’abbiamo tante volte ripetuto: apicoltura stabile e nomade hanno eguali diritti di esistere, ma il proprio diritto non può ignorare quello altrui.
“Non fare agli altri ciò che non vorresti che sia fatto a te”.
Il nomadista, prima di muoversi da casa deve sapere che, giunto nella zona prescelta, non abbia a sentirsi dire: Va’ via.
L’apicoltore stabile deve comprendere che il mondo non è tutto suo che, se vuole vantare dei diritti, deve anche avere delle buone ragioni”

(L’Apicoltore Moderno, 2, 1952)

Nella controversia ancor oggi non ancora placata che oppose gli apicoltori stanziali agli apicoltori nomadisti e il cui inizio coincise con il primo significativo affermarsi della pratica del nomadismo, don Angeleri cercò di comportarsi in modo ecumenico, tenendo conto dell’una e dell’altra parte. Nel 1951, così rispose alla polemica lettera di un apicoltore che denunciava una serie di saccheggi micidiali avvenuti per opera di apiari nomadi in zona di fioritura della menta nei pressi di Villafranca Piemonte (dove le api venivano secondo una tradizionale sequenza portate dopo la permanenza in montagna):

“Il nomadismo va disciplinato, tenuto conto degli alveari delle varie zone. Il saccheggio però non è dovuto al numero sproporzionato degli alveari, ma all’ignoranza od incuria degli apicoltori. Poiché, se la stagione è propizia e la zona ricca di flora, le api si moltiplicano, mentre, nel caso contrario, non potrebbero moltiplicarsi o morirebbero di fame. Comunque il saccheggio non può avvenire se non per cause estranee alle api. Di conseguenza: nelle zone della menta, come in altre, potrebbe esistere la questione della sovrabbondanza delle api, senza le conseguenze del saccheggio. Se ciò avviene, la causa si deve attribuire agli apicoltori sia locali che nomadisti.
Quindi: istruire gli ignoranti.
A chiarire meglio le cose agli apicoltori irritati della zona della menta, aggiungiamo: quando la stagione nella vostra zona è favorevole, ce n’è per tutti, almeno fino al limite attuale; quando è avversa non ce n’è per nessuno.
Difatti, se voi non avete raccolto, pure i nomadisti se ne andarono coi melari vuoti, più vuoti di quando hanno lasciato la montagna. Perché le famiglie più forti, se non vi è raccolto come adesso, consumano più di quelle piccole con il rischio di morire di fame”.

Il principio che “quando ce n’è, ce n’è per tutti”, anche se ricordato all’una e all’altra parte, costituisce comunque un principio base per la giustificazione del nomadismo. Anche su questo aspetto, dunque, don Angeleri si trovò aperto all’ innovazione: non sarebbe altrimenti arrivato a dar forma all’ idea che segue:

“Il nomadismo abbisogna di una Guida, analoga a quella del T.C.I.; in essa l’apicoltore deve trovare elencate prima di tutto le zone giudicate migliori e più estese o aventi fioriture speciali, per ciascuna di esse deve essere indicata la viabilità fino al capoluogo di provincia, alberghi e locande per tutte le borse, l’epoca e l’importanza di ciascuna fioritura, la capacità d’accoglimento di un certo numero di alveari, il recapito di un o più incaricati di prestarsi come intermediari fra i proprietari di terreni ed il nomadista, e tante altre indicazioni utili, tecniche e specifiche d’ogni luogo. Ciò eliminerebbe le opposizioni fra le Province limitrofe, gli interventi per le distanze, le così dette ispezioni dei così detti esperti, intralci irritanti pei nomadismi che sanno bene che i controlli e gli esami non li esonererebbero dalle responsabilità civili o penali in caso d’infortunio”.

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