Storia

Don Angeleri e i mieli monoflora

| Don Angeleri e la valorizzazione dei mieli monoflora

a cura di Paolo Faccioli, aprile 2006

E’ solo dalla fine degli anni 70 che cominciano le prime caratterizzazioni dei mieli e analisi melissopalinologiche, iniziando con l’acacia, e proseguendo con tiglio e castagno. Nel 1982 è stata recepita in Italia la Direttiva Comunitaria 74/409 che definisce i criteri generali di composizione del miele e prevede la possibilità di dichiararne l’origine botanica. Non venivano però forniti i mezzi per identificare i mieli uniflorali. Nel 1982 verranno pubblicate -a cura di ISZA e INA- dodici schede di caratterizzazione di altrettanti mieli monoflorali italiani. Una nuova edizione aggiornata e arricchita è uscita nel 2000. Il Disciplinare dell’Albo in esperti in analisi sensoriale del miele è stato istituito con Decreto Ministeriale nel 1999.

Don Angeleri fu un antesignano della valorizzazione dei mieli monofora

1931: “Quando si parla di miele finissimo o di miele comune non si deve riferirsi troppo (particolarmente da noi, dove non esiste una vera e propria industria del miele) alle qualità intrinseche del miele stesso. Ogni regione ha il suo miele, e i produttori, come i consumatori del luogo ritengono che sia il migliore del mondo. Ne avviene che in molti paesi si vende il miele di castagno a dieci lire al kg.,mentre in altri non si riesce a realizzarne 7, pel miele di acacia, di arancio, ecc.. Fino a che l’industria del miele non sarà,m anche da noi, più sviluppata ed il gusto del consumatore non sarà educato a scegliere tra miele e miele come sceglie tra vino e vino, pane e pane, ecc., la distinzione dovrà intendersi in senso molto largo e riferirsi al miele venduto all’industria (che fa soltanto distinzione tra chiaro e scuro) e quello venduto al dettagliante o al consumatore diretto; Di conseguenza, per molto tempo ancora, il consumatore, non conoscendo altro miele, si adatterà ad acquistare il miele comune presentatogli dal produttore o dal commerciante del luogo come ottimo e lo pagherà come tale; per molto tempo ancora passerà come miele di Pragelato, del Monte Bianco o Rosa o grappa, o acacia, o tiglio, ecc., del miele che con questi nomi non ha alcuna parentela; per molto tempo ancora mieli veramente ottimi saranno venduti da soli o misti con mieli comuni e scadenti, colla sola distinzione di miele chiaro e scuro”(…).
E’ legittimo, lodevole, che ognuno cerchi di valorizzare il suo prodotto; ma è pure nell’interesse dell’industria apistica che ognuno cerchi di migliorarlo e specializzarlo; che le specialità possano essere vendute come tali; che i loro nomi non vengano usurpati a vantaggio dei tipi che non li meritano”.

Da L’apicoltore Moderno, n. 8

1949: “Una volta si diceva (e si dice ancora) miele puro e miele greggio, di primavera e d’autunno, di Maggio o d’Agosto, miele centrifugato o miele torchiato, o colato, ecc. In certi luoghi, si dice miele sopraffino e fino, miele da tavola e miele comune o industriale, ecc. Qualche farmacista parla ancora di miele rosato.
Da noi, specialmente fra i nostri lettori, si è imparato a distinguere il miele col nome della flora dalla quale proviene. Così si dice: miele di acacia o robinia, miele di sulla, di lavanda, di timo, di arancio, ecc.
Questo uso deve diventare generale, perché risponde meglio alla realtà, educa il consumatore e lo dirige nella scelta del miele di suo gusto; nobilita e valorizza il miele, tutti i mieli.
Dicendo miele centrifugato, fino, soprafino, ecc. un tizio qualsiasi è indotto a credere che, di miele, ve ne sia una sola qualità, più o meno lavorata: ma che l’uno valga l’altro; poi, quando egli vede, nelle vetrine, miele liquido e duro, bianco e scuro, resta perplesso e, non avendo modo di controllare, pensa alla sofisticazione, si indispone e non acquista, anche se ha sentito dire che il miele è buono e fa bene.
Se invece di aver letto sull’etichetta 2miele centrifugato, sopraffino”, ecc. egli avesse letto: “miele di acacia, di tiglio”, ecc. egli avrebbe subito pensato che di mieli ne debbono essere di varie qualità, quindi, di diverse caratteristiche esterne e di diverso gusto e profumo; avrebbe ammirato la competenza del produttore e l’ingegnosità delle api e si sarebbe deciso di provare se la leggenda dell’etichetta corrispondesse al contenuto del vasetto ed al profumo del fiore; si sarebbe persuaso che le parole corrispondevano al fatto.
Così, si può star sicuri che il tizio non solo diverrà consumatore di miele, ma vorrà provare altri mieli, fino a che non abbia provato quello che più gli piace. (….).
Gli apicoltori(…) hanno tutta la convenienza di tenere distinto, nella smelatura, miele da miele e presentarlo ai consumatori col nome del fiore dal quale, almeno in grande prevalenza, le api lo hanno raccolto, come il viticoltore pigia le uve di diversi vitigni separatamente e ne vende il vino sotto il nome della vite che lo ha prodotto.
Essi devono manipolarlo il meno possibile e conservarlo ben chiuso perché non perda il suo profumo caratteristico. (…)
(…) Ora che l’apicoltura razionale può, seguendo l’istinto delle api, separare anche il miele, è necessario che nella nomenclatura specifica del miele, se ne rispetti l’origine mettendone in evidenza i pregi di ognuno, e si dica miele di timo, di lavanda, ecc. ecc.
il fiore nobilita il miele, ne richiama il profumo ed il gusto, sia pure con qualche differenza di tinta, di densità, di efficacia alimentare e medicinale, ma sempre con le sue caratteristica fondamentali inconfondibili”.

Da L’Apicoltore Moderno, n. 12

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